Neuromarketing? Di che mostro parliamo precisamente?
All’interno di questo articolo andremo a vedere da vicino questa branca della neuroeconomia.
Conosceremo da vicino i principali strumenti tecnici di analisi, analizzando diversi casi studio intriganti e cercando di dare un’occhiata ai benefici che le aziende possono trarne.
Il tutto, sperando di non disintegrare la tua autostima nel caso fossi del tutto privo di qualunque informazione di neuroscienza e psicologia…
Ti auguro di non esserlo.
In questo articolo
Perché nasce il neuromarketing?
La sfida più provante a cui da sempre le aziende si sottopongono è quella di comprendere il comportamento d’acquisto dei consumatori.
Ad oggi le ricerche di mercato dedite a questo scopo hanno sempre fatto affidamento su questionari, interviste e focus group.
Il problema di fondo che nasce da questa metodologia lo spiegava alla perfezione Davig Ogilvy, grande pubblicitario britannico.
“Le persone non pensano quello che sentono. Non dicono quello che pensano. Non fanno quello che dicono.”
Cosa intendeva Ogilvy? Spiegava quello che ormai la psicologia ha scoperto da tempo.
Le persone infatti attivano i loro processi decisionali in modo del tutto automatico, in base ai loro “bias“ cognitivi.
Come afferma Zaltman, docente di Marketing alla Harvard Business School, “almeno il 95% delle decisioni di consumo viene influenzato dall’inconscio e sono quindi di tipo irrazionale”.
Infatti il cervello umano – per attivare le sue funzioni – tende a sprecare grosse quantità di energia. Proprio per questo vengono a crearsi degli schemi a livello inconscio. In questo modo le decisioni si attivano con rapidità e con un minor spreco di forze.
Prova a pensarci. Quando vai a lavoro non pensi al tragitto che dovrai fare, sei d’accordo con me?
La tua mente ha già immagazzinato quelle informazioni e tu magari hai la testa al lavoro, alla tua famiglia o a dove vedrai la partita della squadra per cui tifi. A farti arrivare alla destinazione ci pensa la tua mente inconscia.
Funzioniamo come dei robot
Dov’è il problema? Il problema è che non ci rendiamo conto di questo.
Crediamo di essere consapevoli e razionali in ogni nostra decisione, ma la psicologia e le neuroscienze hanno smontato questa credenza popolare a più riprese.
Siamo ignari delle reali motivazioni per cui formuliamo giudizi o prendiamo certe decisioni.
Tendiamo a dire cose diverse da quelle che suggerisce il nostro comportamento.
Ecco perché le canoniche ricerche di mercato non sono (totalmente) attendibili – o quantomeno risultano obsolete – perché mediate dal filtro della ragione.
Nel tentativo di “tappare” questa falla è nato il neuromarketing.
Una scienza che ha il compito di studiare le emozioni del consumatore ( ti consiglio la lettura di questo articolo sul marketing emozionale ) e prevedere i comportamenti che potrebbe attuare se sottoposto a determinati stimoli.
E’ giusto specificare che questa branca della neuroeconomia non ha l’obiettivo o la presunzione di sostituire il marketing tradizionale, ma piuttosto di affiancarlo e supportarlo, potenziandone le già efficaci tecniche.
Ma quali sono i mezzi tecnologici hanno permesso al neuromarketing di svilupparsi?
Facciamo una panoramica generale.
Neuromarketing: strumenti di analisi
Per misurare le reazioni psicofisiologiche generate da determinati stimoli, gli studiosi di neuromarketing hanno implementato tre differenti tipologie di strumentazioni: brain imaging, indicatori comportamentali e indicatori biofisiologici.
Brain imaging
Gli strumenti di brain imaging regalano una fotografia delle aree attivate nel cervello sotto l’effetto di un particolare stimolo. Ne esistono di vario tipo, pertanto sintetizzeremo alcune tra le più rilevanti, vedendo alcuni interessanti casi studio in cui sono state applicate.
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L’fMRI
Questa tecnica elabora una sequenza di immagini dell’attività cerebrale mediante la misura del flusso sanguigno cerebrale. Sfrutta le proprietà magnetiche dell’emoglobina presente nei globuli rossi.
Rispetto ad altre tecniche presenta il vantaggio di poter analizzare il comportamento delle più piccole e profonde strutture del cervello del consumatore.
Uno dei più celebri esperimenti di neuromarketing effettuati con l’fMRI è certamente quello effettuato con Pepsi e Coca Cola.
Vennero creati due gruppi sperimentali. Al primo venivano fatte assaggiare le bevande senza manifestare quale delle due corrispondesse ad uno dei due marchi, mentre all’altro veniva indicato il brand.
Ciò che emerse fu sorprendente.
Il primo gruppo – all’insaputa di cosa stesse bevendo – preferì di gran lunga il gusto della Pepsi. Sia a livello consapevole che a livello cerebrale.
Per il secondo invece, a livello di gradimento esplicito, la preferenza cadde sulla Coca Cola.
I ricercatori rilevarono che nonostante a livello inconscio il gusto preferito fosse quello della Pepsi per quasi tutti i partecipanti, la considerazione consapevole di un brand come Coca Cola, prevaleva razionalmente sull’effettivo gradimento del prodotto.
Un po’ come l’effetto “quell’attore/attrice di Hollywood mi fa impazzire, ma non lo scambierei mai col mio partner”.
Ah le emozioni, queste birichine…(L’impatto emotivo genera davvero le fortune di un brand? Ti consiglio la lettura di questo articolo sulla Nike).
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EEG
Misura l’attività elettrica del cervello, la cui registrazione permette di misurare l’andamento di alcuni indici di coinvolgimento emotivo.
Questi indicatori psicofisiologici risultano di grande utilità per lo studio dell’impatto della comunicazione e delle altre forme di stimolazione sensoriale.
Questi indicatori riguardano:
- l’attenzione generale ( per capire quanto il consumatore è ricettivo)
- l’attenzione focalizzata (attenzione del consumatore in riferimento ad un singolo stimolo)
- indice di apprendimento (misura se il consumatore è pronto ad apprendere e memorizzare)
- indice di memoria (la propensione neurofisiologica del soggetto ad assimilare ricordi)
- indice di semplicità (indica se il consumatore considera lo stimolo di immediata comprensione).
Un interessante studio di neuromarketing dimostrò come l’utilizzo dell’EEG porti dei vantaggi rispetto ai questionari.
Venne selezionato un campione di 30 paia di scarpe vendute negli store di una catena europea in un determinato periodo di tempo precedente allo studio.
Analizzando i dati sulle vendite vennero messi a paragone i dati provenienti dai questionari – che analizzavano il tasso di gradimento e la predisposizione all’acquisto del prodotto – a quelli derivati dall’analisi EEG durante l’osservazione delle scarpe in generale. Paragonando i diversi indici di preferenza, i questionari riuscivano a predire il successo del prodotto fino al 60%, mentre i dati EEG raggiungevano quasi l’80%.
Un bel passo in avanti…
Indicatori comportamentali
Questi indicatori studiano la condotta dei consumatori in situazioni ordinarie di acquisto o quando vengono sottoposti a stimoli pubblicitari. I due di maggiore rilevanza sono…
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Eye tracking
E’ una tecnica che permette di registrare la dilatazione e la contrazione della pupilla sfruttando uno strumento ad infrarossi – appunto – l’eye-tracker. E’ molto utile per comprendere cosa attira l’attenzione del consumatore e cosa invece ignora.
Può essere impiegato in diversi ambiti: analisi di immagini quali messaggi pubblicitari, progettazione di siti internet, libri di facile consultazione, copy ed advertising test (di cui parleremo dopo), tv research, test dei prodotti o shop studies.
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Riconoscimento emozioni facciali
Il sistema di codifica delle espressioni facciali si serve di un software che crea una mappa del viso per individuarne le caratteristiche generali. Studia i vari mutamenti ed elabora la correlazione tra l’espressione neutra del viso e circa 100 mila modelli predefiniti che rappresentano le varie emozioni.
Ritorna particolarmente utile nelle analisi dei soggetti sottoposti a stimoli pubblicitari per rilevarne le reazioni di sorpresa, disgusto, apprezzamento o rabbia.
Indicatori biofisiologici
Gli strumenti sopra elencati vengono spesso abbinati all’uso di queste tecniche, che si focalizzano sulle reazioni fisiche involontarie dei consumatori. Questo permette di raggiungere una visione d’insieme più completa.
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SCA
Ogni volta che si prova un’emozione avvengono alterazioni dell’attività conduttiva della pelle, dovute principalmente alla sudorazione.
Questa tecnica permette di rilevare la situazione emozionale del soggetto interessato e risulta utile per l’analisi delle reazioni del consumatore durante la visione di spot pubblicitari o di trailer cinematografici.
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ECG
Questo strumento – utilizzato anche nella medicina tradizionale – consente di analizzare la correlazione tra le emozioni e il campo elettrico del cuore.
E’ infatti noto come situazioni di ansia o paura varino l’attività cardiaca.
Il neuromarketing sfrutta i tracciati dell’ECG per comprendere come le emozioni si modifichino dinamicamente nel corso di un test.
Questo metodo viene utilizzato principalmente per lo studio di esperienze lunghe, come ad esempio la visita all’interno di un museo o la visione di un programma televisivo, poiché non è in grado di rilevare la reazione emozionale per frazioni di secondo.
Tecniche di neuromarketing
Finita la panoramica generale sugli strumenti utilizzati, è il caso di chiedersi…
…Nel pratico, come vengono applicati i risultati raccolti?
Vediamo alcuni esempi che ti daranno un’idea più chiara di come il neuromarketing si applichi nella vita di tutti i giorni.
Le mattonelle ti fanno accelerare o rallentare?
Tu guardi il pavimento quando entri in un supermercato?
Probabilmente no (a meno che tu non sia un pavimentista). Non noterai pertanto la loro grandezza. O almeno credi che sia così…
Infatti nessuno è conscio del fatto che il cervello è un “avaro cognitivo” (o meglio, ora lo sai, perché te ne ho parlato prima), ovvero cerca di fare meno fatica possibile per risparmiare energia.
In base alle esperienze che vive, cerca di memorizzare del file ripetitivi, in modo da generare delle abitudini e quindi agire in automatico.
Cerchiamo sempre una “regola” da seguire, proprio perché questo permette al cervello di semplificare la memorizzazione.
Ora. Pensa a quando eri piccolo e passeggiavi per strada coi tuoi genitori. Ti è mai capitato di giocare con le linee a terra tentando di non calpestarle? O magari di saltare sulle strisce pedonali o rimanere in equilibrio sul bordo del marciapiede?
Ecco, questo “sistema giocoso” è diventato una struttura archetipica all’interno del tuo cervello.
Ti sembrerà assurdo, ma lo schema sul pavimento di un supermercato richiama proprio questo paradigma inconscio, facendoti accelerare o rallentare.
Quando guardi a terra e vedi dei segni o delle forme, tenti di calpestare le linee o di starne fuori. Mai entrambe le cose insieme. Non te ne rendi conto, ma è così.
Proprio per questo in vari supermercati o nei centri commerciali – dove i clienti devono “scorrere” più velocemente – le mattonelle sono più piccole. Così il tuo inconscio ti porta ad accelerare.
Negli store, dove invece l’idea è quella di farti andare più piano, le mattonelle tenderanno ad essere più larghe.
Prezzi: il vecchio caro “X,99” o “X,97”
Siamo tutti consci del “gioco dei numeri” che le aziende applicano ogni giorno sui prezzi dei prodotti che compriamo.
Il famoso “X,99” o “X,97” è un trucchetto che spesso ci fa infervorare con un “Pensi che sia scemo? Mi togli qualche centesimo dal prezzo per farmi credere di spendere di meno? Non ci casco mica, sai?”…
E invece Andrea Saletti, nel libro “neuromarketing e scienze cognitive, per vendere di più sul web”, ci spiega perché in realtà questo metodo ha un effetto su di noi, che ci piaccia o meno ammetterlo a livello conscio.
“Sappiamo benissimo a livello razionale, che 299 è un valore praticamente identico a 300. Ma la costruzione visiva di una lettura del numero, rende quel 2 una vera e propria ancora. A livello inconscio interpretiamo quel prezzo come più vicino a 200 che a 300 e di conseguenza è più vantaggioso.”
Se ti senti meno intelligente o hai provato un calo di autostima generale dopo queste informazioni, non sentirti solo e ricorda che siamo (almeno) in due.
Binomio copy-immagine nelle ads
Basandosi sui risultati di una ricerca di neuromarketing condotta dall’Università della Virginia e California del sud, si è scoperto che esistono regole precise con cui sfruttare la correlazione tra copy scritto e immagine all’interno delle ads.
Hanno infatti sottoposto un gruppo di persone ad un test in cui abbinavano un copy più razionale prima e un copy più emotivo poi, all’ immagine di uno specifico prodotto nel settore del food.
Dopo di che, la parte scritta in copy veniva messa sopra o sotto l’immagine, creando così 4 diverse combinazioni.
I risultati sono stati molto interessanti.
Infatti le persone erano più propense all’acquisto in due casi particolari:
- Quando il copy razionale era posizionato sopra la foto del prodotto.
- Quando il copy emozionale era posizionato sotto alla foto del prodotto.
Perché succede questo?
Perché nel caso del copy razionale (in cui ad esempio si utilizzava la parola “sano”) si preferiva a livello inconscio il fatto di leggere la caratteristica e poi associarla all’immagine.
Nel caso del copy emozionale (con ad esempio la parola “gustoso”) le risposte inconsce tendevano più verso l’essere prima catturati da un’immagine accattivante, per poi avere la conferma del desiderio provato data dal copy scritto.
Un dettaglio succulento per cui tutti i creatori di campagne sui social avranno ringraziato.
Conclusioni
Siamo giunti alla conclusione di questo articolo…
Spero che questa panoramica sia stata utile per aumentare la tua conoscenza generale sul neuromarketing e comprenderne le potenzialità di utilizzo – presente e futura – per le aziende.
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E’ giunto il momento di salutarci, ma ricorda…
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