A-Style, quando il logo nasce prima dell’azienda

In questo articolo andremo a vedere il caso di A-Style, ovvero quando il logo nasce prima dell'azienda

È nata prima la Nike o il suo iconico swoosh?

Prima la Apple o il loghetto con la mela morsicata?

Prima la scritta Coca-Cola o la bevanda ?

Insomma, nasce prima il logo o la sua azienda?

La risposta potrebbe sembrare ovvia, ma se lo fosse non sarei certo qui a parlarne, vero?

Dopotutto, ogni norma ha le sue eccezioni e in questo caso abbiamo un’eccezione tutta italiana, con la rocambolesca storia di un logo che è nato molto prima della sua azienda e che nei primi anni 2000 si è rivelato un successo internazionale: A-Style, una provocazione che fa storia.

Fra genio e provocazione

Nessuna ambiguità.

“È una A con due puntini, solo una A con due puntini”, ha più volte dichiarato Marco Bruns, milanese ideatore del logo A-Style e fondatore della società che ne detiene ora i diritti: la 69 S.r.l.

A-Style, quando il logo nasce prima dell'azienda

L’ambiguità allora sta davvero solo negli occhi di chi guarda?

Difficile a dirsi, quel che è certo è che Bruns – all’epoca studente di graphic design – ha saputo cogliere appieno il potenziale di un logo nato per gioco, come dissacrante provocazione, ormai più di 20 anni fa.

È il 1998 quando i primi sticker gialli compaiono sui semafori e sulla segnaletica stradale di Milano.

Nessuna scritta, solo la “A con i due puntini” ovunque per la città.

La notorietà è immediata, complice anche l’altissimo livello di memorabilità del logo.

Da qui in avanti si mettono in moto campagne di vero e proprio guerrilla marketing, scatenando un fenomeno che avrebbe fatto parlare tutto il mondo.

Just a logo

“A-Style was just a Logo, nothing more”, così l’americana CBS News descriveva le prime fasi di vita del marchio: soltanto un logo e nulla di più.

Eppure…

Marco Bruns era così orgoglioso della sua creazione che voleva si diffondesse il più possibile.

C’era solo un problema:

A-Style era davvero soltanto un logo in quel momento, non portava guadagni, profitti o ricavi di qualsivoglia tipo.

Il budget per la comunicazione era praticamente nullo, ma la creatività e l’ingegno sicuramente no.

Da qui Marco Bruns mette in piedi vere e proprie strategie pubblicitarie low-cost, ricorrendo a tecniche di comunicazione non convenzionali che attirano l’attenzione, che colpiscono e stimolano interesse e curiosità nella gente (il guerrilla marketing, appunto).

È guerrilla marketing inondare la presentazione di abbigliamento Pitti Immagine Uomo con oltre quattro milioni di coriandoli raffiguranti il logo A-Style…

Così com’è guerrilla marketing armarsi di bomboletta spray gialla e disegnare in piena notte la “A con i due puntini” sui tornanti del Tour de France che si sarebbe corso il giorno seguente.

A-Style, quando il logo nasce prima dell'azienda

Tutti adesso parlano di questo logo.

Le testate italiane si domandano da dove arrivi, le riviste internazionali del calibro di GQ, Men’s Health e Cosmopolitan celebrano il fenomeno comunicativo, Marco Bruns capisce la portata di ciò che ha fatto e A-Style da logo si evolve in brand.

Da logo a brand

“Sono soddisfatto di come ho proposto la mia “:A” e di come sia stata accettata; il passo successivo, la realizzazione di abbigliamento A-Style, è stata un’evoluzione naturale della diffusione del marchio. Non venirmi a parlare di sfruttamento della street art o che altro. A-Style non sfrutta nessuno perché è nata in strada, più precisamente a Milano, più precisamente sul semaforo sotto casa mia e ancora più precisamente dalla mia mano”.

A parlare è lo stesso Marco Bruns che in un lungo post su Facebook annuncia che a 4 anni dalla nascita del logo, questo verrà commercializzato su una vasta gamma di capi e accessori.

Il fenomeno della “A con i due puntini” diventa fenomeno commerciale.

I prodotti si diffondono nei mercati esteri e tutto questo solo sulla spinta di un logo fatto bene.

Ma è proprio così?

Non esattamente.

Un logo, di per sé, è solo un tratto grafico, ed esattamente come ogni tratto grafico è in principio “un contenitore vuoto”.

Un contenitore che deve essere riempito di significati specifici da chi quel logo lo cura.

Così, A-Style diventa espressione di anticonformismo, di creatività, di gioventù e dinamicità ed è in quel momento che nasce un brand vero e proprio.

Vendere l’anticonformismo

Cosa vendeva allora A-Style nei primi anni 2000?

Jeans?

Magliette?

Cappellini?

Niente di tutto questo.

A-Style, per anni, ha venduto anticonformismo da indossare, voglia e desiderio di infrangere i tabù, di sentirsi parte di una storta di “movimento artistico” legato alla street art.

La categoria di prodotti scelta – l’abbigliamento – non ha nulla a che vedere con quello che il brand vendeva ai suoi fan.

Se A-Style si fosse buttata nel settore dell’elettronica o della cancelleria, avrebbe comunque “venduto” quei valori prima che quei prodotti.

È uno sforzo di immaginazione, lo capisco, ma è fondamentale comprendere come avere un brand ben definito e solido sia un asset di business di primaria importanza per un’azienda perché, anno dopo anno, l’acquisto di un prodotto si fa sempre meno legato al prodotto stesso e sempre più influenzato dalle idee e dai valori che quella marca porta con sé.

Conclusioni

Spero che questo articolo ti sia piaciuto e ti sia stato utile per capire il caso del logo A-Style.

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In questo articolo ti ho parlato del caso del logo A-Style, a presto e ricorda…

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Oppure rimani succube del suo potere e accettane le conseguenze.

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